TRA IPERREALISMO E METAFISICA

Ci sono verità che vanno oltre le capacità della ragione che, giunta al suo limite estremo, utilizza il linguaggio simbolico. Tale uso attiva una funzione diversa della mente umana che non deve essere confusa col semplice uso della fantasia, della creatività che inventa delle belle immagini: non si tratta di invenzione, ma di allusione ad una realtà, non irrazionale, bensì sovrarazionale. Il potere allusivo delle immagini stimola la capacità intuitiva e visionaria dell’intelletto. Una fotografia o un quadro di tipo “realista” pongono l’osservatore davanti alla realtà così come si manifesta, e non necessariamente così come è, filosoficamente due cose ben diverse e perfino, a seconda delle teorie, in contraddizione. Alcune immagini rivelano, tramite i simboli, altri scenari percepibili attraverso la struttura narrativa che l’artista riesce a “tessere” coi linguaggi della pittura. E’ il caso, ad esempio, del padre del movimento metafisico Giorgio De Chirico, il quale, nel quadro “Canto d’amore” – che commosse René Magritte – nell’apparenza di oggetti scollegati tra loro, raffigurò invece l’essenza della sua infanzia e della sua prima adolescenza. Christian Carlini, nel suo percorso storico e artistico, fonde la pittura metafisica e quella surrealista. La sua rappresentazione della realtà diviene raffigurazione di un concetto meditato, interiorizzato, che nella metafora immaginifica del dipingere diviene fabula, racconto; nel racconto la realtà diviene storia, memoria che vuole essere narrata, ma che pur svolgendosi nel tempo viene fissata da Christian Carlini icasticamente, quasi a assumere i connotati dell’atemporalità. L’iperrealismo di Christian Carlini non è una realtà estremizzata nella rappresentazione dei suoi particolari, quanto e soprattutto trasfigurazione di un pensiero, rivelazione di un’interiorità cui un’icona, la cui luce fa sentire l’eco di un silenzio soprannaturale, può dar voce. Quando nella prima metà del XIX secolo fu inventata la fotografia, la pittura non poté non reagire a questa sfida, così gli Impressionisti compresero che potevano far ciò che la fotografia non avrebbe mai potuto restituire: rappresentare la visione del momento attraverso la luce e i colori, rappresentare l’inebriamento che la vibrazione del colore produce sull’animo del pittore grazie alla luce di quel particolare istante della giornata. Basti pensare alla serie della Cattedrale di Rouen ad opera di Monet. Che cos’è dunque la realtà? E quale è la rappresentazione più fedele di essa? Quella fredda e oggettiva che separa nettamente l’oggetto dal soggetto, dalle sue emozioni e impressioni, o quella che rappresenta la relazione tra il soggetto e l’oggetto e l’effetto del secondo sul primo? E’ l’antica querelle che separa Idealisti e Realisti, presente perfino nell’interpretazione della meccanica quantistica. Fin dall’antichità uomini di diverse culture hanno ipotizzato l’esistenza di una realtà al di là di quella fisica e materiale, una realtà che è oltre ciò che è fisico, e dunque “metafisica”, invisibile agli occhi, ma visibile, come riteneva Platone, con gli occhi dell’Intelletto, della mente, dell’anima, o ancora raggiungibile attraverso la meditazione. Ma non solo il filosofo o il mistico ricercano e raggiungono le più alte vette dello spirito giungendo alla “Visione”: ci sono artisti che oltre a “vedere” sanno anche raffigurare, come Christian Carlini. Egli è uno di quegli artisti che vivono il fare arte come una vera e propria vocazione: come uno sciamano, egli dà volto al mistero, e quindi lo svela. Egli è una di quelle persone rare che sanno vedere proprio “quella realtà”, meditarla, contemplarla e raffigurarla nella composizione. Ma la sua, non è semplice rappresentazione del Vero, ma piuttosto un arcano che si svela attraverso la pittura e la pittura iperrealista. Il titolo di ogni opera è il codice e la chiave di lettura per decifrare la metafora e cogliere il senso del tutto. La realtà che Christian Carlini dipinge con un talento assoluto, e una maestria che è conoscenza antica e moderna della tecnica, è metafora nel vero senso etimologico del termine: ogni suo oggetto, che sia fiore, frutto, sasso o muffin, si trasmuta, nel particolare accostamento da lui scelto, in simbolo. Il termine “metafora” deriva dal greco metaphérō, che significa “io trasporto”: si tratta di un trasferimento del significato di una parola su di un’altra, ad opera della sostituzione di un termine con un altro che ha una maggiore carica espressiva; così, ad esempio, Carlini, nell’opera intitolata “Sentenza inoppugnabile” – che potrebbe richiamare scenari cupi e drammatici – pone un muffin in un incarto crespato di colore verde reso più appetibile da una crema che sa di amarena. Il muffin è collocato al di sopra di sei sassi assemblati come fossero un dolmen che costringe quattro lilium di color arancio. Questi ultimi richiamano l’idea che a sostenerne il peso di un fatto irreversibile è il “sacrificio della bellezza”. Christian Carlini, su un fondo nero, così che i colori e i particolari si possano ben distinguere, mostra all’osservatore un’insolita composizione che nel titolo pone la distinzione tra legge e giustizia. Così lo spettacolo illusorio e appariscente – ma appunto per questo pura apparenza e quanto mai lontano da quella realtà vera che lo sguardo dell’artista coglie – delle legge umana schiaccia l’antica fortezza trascendente del giglio che in questa nostra lettura è la giustizia. Così pure, nell’opera “Scusate il ritardo”, ciò che vediamo immediatamente è un pezzo di dolce a forma di cubo, lievitato e al cioccolato, con sopra mandorle tostate, sciroppo di ciliegie e panna candida e di forma spiraliforme. Il dolce è collocato su di un piatto di vetro trasparente che richiama la forma di un pecten. La torta al cioccolato fa pensare alla terra porosa che in qualche modo è stata arricchita dalla bellezza, ma non si tratta della bellezza banale che stimola golosità e acquolina in bocca, il Maestro Carlini va oltre: la panna candida e spiraliforme è forse il soffio di Zefiro che sospinse Afrodite sulla terra. E proprio a Primavera, simboleggiata dalle ciliegie, Afrodite giunge a Cipro a donare i suoi frutti rossi di passione che irrorano e vivificano, oltre alla terra, perfino l’acqua da cui essa è sorta. La mandorla tostata è l’antica amigdala, simbolo della femminilità e del femminile, ed è tostata, scottata perché l’uomo si è soffermato alla visione palese e superficiale della bellezza: non ha decifrato l’arcano, non è andato oltre, incapace di vedere la realtà che è oltre l’immediatezza. Tramite l’artista Afrodite torna ancora, torna nonostante i limiti umani nell’accoglierla e con ironia afferma: “scusate il ritardo”.

Valentina Orlando

dott. di ricerca in Filosofia e scienze umane, docente M.I.U.R, saggista e scrittrice

membro del Concept Board dell’Istituto Modigliani